Affinché si abbia novazione oggettiva dell’obbligazione preesistente è necessario che siano espressamente previste, o comunque siano desumibili in modo inequivocabile, la volontà e l’effetto di estinzione dell’obbligazione pregressa, in ragione della sostituzione con una obbligazione nuova e incompatibile, non essendo sufficienti le indicazioni meramente esemplificative, a fronte del richiamo a tutti gli altri patti già stipulati che consentono la coesistenza di plurime obbligazioni.

In tema di cessione di partecipazioni sociali, soddisfa il requisito della determinabilità dell’oggetto – ed è dunque valida e non viola il canone di buona fede oggettiva – la clausola del contratto che preveda l’adeguamento del corrispettivo fissato alle sopravvenienze passive successivamente accertate (ossia verificate dopo la cessione), facenti capo alla società target, per fatti accaduti prima del perfezionamento dell’accordo traslativo, in ordine a causali specificate nei confronti di soggetti individuati.

Sono questi i principi sanciti dalla Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione nell’ordinanza 5 aprile 2023, n. 9347 (testo in calce), chiamata a trattare il tema complesso della cessione di partecipazioni sociali e novazione oggettiva dell’obbligazione preesistente.

Il caso

La vicenda trae origine dall’azione monitoria promossa da una società di factoring che ha ottenuto un decreto ingiuntivo – provvisoriamente esecutivo – nella sua qualità di cessionaria dei crediti vantati dal titolare di partecipazioni sociali a titolo di prezzo residuo per la cessione di quote detenute in una s.r.l.

La società di factoring ha esposto che, con scrittura privata del 08.06.2005, il titolare delle partecipazioni aveva ceduto le proprie quote alle società soggette all’ingiunzione con previsione di un pagamento rateale.

L’art. 4 bis dell’accordo di cessione prevedeva però che se fossero emerse situazioni debitorie nei confronti del Ministero dell’Economia, del Ministero del Welfare, dell’INPS e dell’INAIL, in un momento successivo rispetto alla sottoscrizione del contratto, le società acquirenti avrebbero dovuto compensare quanto dovuto a titolo di corrispettivo per la cessione delle quote con quanto la società target fosse stata tenuta a corrispondere a titolo di IVA, IRPEF, IRPEG, IRAP, INAIL e INPS.

Con successiva scrittura privata del 09.08.2005, le parti hanno rinegoziato le condizioni economiche e le modalità di pagamento, in quanto erano emerse situazioni debitorie non conosciute in precedenza con conseguente possibilità di contenzioso con la Pubblica amministrazione e soggetti privati. 

Il prezzo di cessione delle quote sociali era dunque ridotto e veniva concordato un nuovo programma rateale.

In data 15.05.2008, il titolare delle partecipazioni ha tuttavia ceduto alla società di factoring le proprie ragioni di credito vantate nei confronti delle società destinatarie del ricorso monitorio che però, nel frattempo, non avevano provveduto al pagamento delle rate.

La Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto l’opposizione spiegata dalle società debitrici contro il decreto ingiuntivo ottenuto dalla società di factoring.

È stato dunque proposto ricorso per cassazione, con cui è stata in primis eccepita la violazione ed errata applicazione dell’art. 1230 c.c. e dell’art. 1965 c.c. è stato infatti contestato che la Corte di Appello aveva errato nel ritenere che l’obbligazione di garanzia del venditore prevista dall’art. 4 bis dell’accordo di cessione del 08.06.2005 in ordine alla decurtazione del prezzo delle sopravvenienze passive della società si fosse estinta in forza di una transazione novativa in ragione della stipulazione della scrittura privata integrativa del 09.08.2005.

I ricorrenti hanno altresì eccepito che il Giudice d’appello aveva errato nel disapplicare la “garanzia” prevista dall’art. 4 del bis del contratto di cessione delle quote del 08.06.2005 in ragione della indeterminatezza della previsione della compensazione del prezzo con le passività sopravvenute, in violazione dei canoni di lealtà e buona fede.

Società 2023, Autori: AA.VV., Ed. IPSOA, 2023. Per ogni tipo di società affronta: costituzione, funzionamento, bilancio, strumenti finanziari, operazioni straordinarie, regime fiscale, aspetti penali.
Scarica gratuitamente l’estratto

La decisione

Nel trattare le questioni sottoposte al suo esame, la Cassazione ha innanzitutto osservato che la volontà delle parti di estinguere l’originaria obbligazione di garanzia assunta con il contratto di cessione del 08.06.2005 mediante la scrittura integrativa del 09.08.2005 doveva risultare in modo espresso ed inequivoco.

L’estinzione non poteva essere ricavata attraverso l’applicazione del canone ermeneutico delle indicazioni esemplificative di cui all’art. 1365 c.c.

I Giudici di legittimità hanno inoltre ricordato che la novazione deve ritenersi preclusa quando, in mancanza della pattuizione di obbligazioni incompatibili, la scrittura integrativa preveda una clausola di salvaguardia secondo cui restano ferme tutte le disposizioni dell’atto originario di cessione, non espressamente modificate dal susseguente atto integrativo.

Per potersi avere una novazione oggettiva è peraltro necessario che sussistano i seguenti requisiti: a) l’aliquid novi cioè il mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione; b) l’animus novandi ossia la manifestazione inequivoca dell’intento novativo; e c) la causa novandi, vale a dire l’interesse comune delle parti all’effetto novativo [1].

Ed in particolare l’animus novandi è escluso quando le parti, nel sostituire l’oggetto dell’obbligo precedente, richiamino gli altri patti già stipulati, e così facendo viene consentita la coesistenza tra la nuova e l’originaria obbligazione [2].

Nel caso di specie, la Cassazione ha osservato che non poteva dirsi né espressa né inequivoca la comune volontà delle parti di estinguere l’obbligazione di garanzia di cui all’art. 4 bis dell’atto di cessione del 08.06.2005, per effetto del contratto integrativo stipulato in data 09.08.2005, perché quest’ultimo si era limitato a disporre la riduzione del prezzo.

Risultava invece evidente la volontà delle parti di far salve le clausole previste dall’originario atto di cessione perché non derogate dall’atto integrativo.

Per tale ordine di motivi, la Cassazione ha osservato che non era stata fatta corretta applicazione di quanto disposto dall’art. 1320, comma 2, c.c., in forza del quale la volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non equivoco.

La previsione della riduzione del prezzo di vendita, con un allungamento dei termini di scadenze delle rate, non aveva pertanto determinato un mutamento dell’originario atto di cessione, con riferimento alla garanzia prestata in favore del cessionario ed a carico del cedente sullo scomputo dal prezzo pattuito delle sopravvenienze passive (non sussisteva alcuna incompatibilità tra l’originaria obbligazione di garanzia e la successiva riduzione del prezzo).

La Cassazione ha inoltre accertato che l‘oggetto degli accordi era differente.

Nel primo atto di cessione del 08.06.2005 erano contemplate le passività relative alle causali IVA, IRPEF, IRPEG, IRAP, INAIL e INPS verso soggetti determinati, mentre le passività richiamate nell’atto integrativo del 09.08.2005 ai fini della riduzione del prezzo, riguardavano genericamente i rapporti con la Pubblica amministrazione e soggetti privati senza alcuna specificazione delle causali.

I Giudici di legittimità hanno poi rilevato che non vi era un’espressa volontà sostitutiva o transattiva della precedente obbligazione (anzi si faceva rinvio alle clausole dell’originario atto di cessione non espressamente modificate).

La riduzione del corrispettivo nella misura risultante dalla differenza tra il quantum originario ed il quantum nuovamente stabilito, non era infatti indicativa della volontà di rinunciare all’aggiornamento del prezzo per sopravvenienze passive ulteriori.

La Cassazione ha pertanto affermato che, nel caso di specie, non ricorreva una transazione novativa, quale atto di composizione dell’originario rapporto litigioso mediante la conclusione di un rapporto costitutivo di obbligazioni autonome e differenti rispetto a quelle originarie.

Si poteva semmai configurare un atto di composizione del rapporto litigioso esclusivamente mediante modifiche alle obbligazioni preesistenti (in ordine al prezzo di cessione delle partecipazioni sociali in ragione delle rilevate passività verso privati e verso la pubblica amministrazione.) senza elisione del collegamento con il rapporto originario [3].

La Cassazione ha poi affrontato la questione riguardante le clausole che attribuiscono rilievo alle sopravvenienze passive della società (società target), le cui partecipazioni sono cedute volte a “garantire” una determinata situazione debitoria della società o un determinato valore patrimoniale netto dell’azienda.

Con un’analisi articolata, i Giudici di legittimità hanno innanzitutto evidenziato che lo scopo di questo tipo di clausole consiste nel dettare una disciplina negoziale dei fatti che influiscono sul valore delle quote (o meglio il patrimonio dell’azienda), vale a dire l’utilità che si prefigge di raggiungere colui che acquista la totalità delle partecipazioni sociali.

La parte acquirente viene tutelata in caso di insorgenza di sopravvenienze passive, perché il corrispettivo può essere adeguato alla minore consistenza patrimoniale societaria oppure può essere riconosciuto un obbligo di manleva attraverso la prestazione di un indennizzo [4].

Le pattuizioni di “garanzia” (“sale purchase agreement”), assunte dal cedente di partecipazioni sociali in ordine alla situazione patrimoniale o debitoria della società, hanno dunque la funzione di neutralizzare l’incidenza negativa di atti o fatti di gestione compiuti prima del mutamento della compagine sociale.

Con riferimento alle clausole di “garanzia” del venditore in ordine alle sopravvenienze passive, i Giudici di legittimità spiegano che si tratta di previsioni ricorrenti nel caso di cessione di partecipazioni societarie perché il loro effetto tipico è quello di consentire all’acquirente di ridurre il corrispettivo della cessione per un ammontare pari all’importo delle sopravvenienze passive a carico della società o di assicurarsi a posteriori (ossia dopo la corresponsione del prezzo) un indennizzo alla stregua del verificarsi di fatti sopravvenuti.

Esse sono definite come clausole di “price adjustment” o di “indemnity” che si prefiggono di tutelare l’acquirente delle partecipazioni sociali in ordine alle situazioni debitorie, ancora ignote al momento del perfezionamento della cessione, i cui fatti costitutivi si sono già verificati.

È ad esempio il caso dei debiti di natura tributaria o fiscale che vengono accertati e quantificati in epoca successiva rispetto a quella in cui si è verificato l’omesso o insufficiente versamento, ma i cui effetti negativi sul patrimonio e sulle prospettive della società non erano ancora oggettivamente percepibili al tempo in cui è stato raggiunto l’accordo di cessione delle quote.

La Cassazione ha poi preso in considerazione le differenze esistenti tra le clausole di “indemnity” e le clausole di “price adjustement” (ossia di “aggiustamento del prezzo” o di “adeguamento” o “revisione del prezzo”).

Le clausole di “price adjustement” operano nel caso di mancata determinazione del prezzo di cessione delle azioni in misura fissa e immutabile.

Si tratta di clausole che costituiscono il meccanismo negoziale funzionale alla determinazione del prezzo di cessione delle azioni, quando quest’ultimo rappresenta l’espressione monetaria di un parametro patrimoniale (come il patrimonio netto o posizione finanziaria netta) o reddituale (come il margine operativo lordo EBITDA) della società target (c.d. “valore rilevante”) da calcolarsi alla data del trasferimento della proprietà delle azioni e dell’adempimento delle formalità esecutive del closing (“closing date”).

È un meccanismo attraverso il quale il prezzo viene inizialmente determinato, in via provvisoria, al momento della stipulazione del contratto di cessione (“signing”) sulla base della possibile situazione patrimoniale, finanziaria e/o reddituale della società target in un determinata data di riferimento.

I Contratti, Direzione scientifica: Breccia Umberto, Carnevali Ugo, D’Amico Giovanni, Macario Francesco, Granelli Carlo, Ed. IPSOA, Periodico. Rivista di dottrina, giurisprudenza e pratiche contrattuali nazionali e internazionali, arbitrato e mediazione.
Scarica gratuitamente un numero omaggio

Il corrispettivo “finale” viene poi fissato, in via definitiva, sulla base della nuova situazione patrimoniale, finanziaria e/o reddituale della società target aggiornata alla data del “closing”.

L’eventuale differenza positiva o negativa tra il valore rilevante della società target alla data di “riferimento” e quello alla data del “closing” consente l’aggiustamento (o meglio l’adeguamento) dell’iniziale prezzo provvisorio con conseguente fissazione del prezzo definitivo.

È chiaro che le clausole di “price adjustement” e le “clausole di indemnity intervengono pertanto su piani differenti.

Le clausole di “price adjustement” hanno ad oggetto la determinazione della misura della prestazione principale a carico del compratore (pagamento del prezzo) sulla base dei cambiamenti del valore della società target tra la data di “riferimento” e la data del “closing”: gli aggiustamenti del prezzo provvisorio possono essere a favore del compratore o del venditore a seconda dei risultati della gestione della società target nel periodo interinale, a meno che che non sia concordemente previsto un adeguamento al ribasso.

Le clausole di “indemnity” si ricollegano invece alla previsione di una prestazione complementare (ed eventuale) a carico del venditore (e che si aggiunge a quella del prezzo anche se aggiustato) da eseguirsi a favore del compratore solamente in caso di violazione della clausole di garanzia convenzionale e quindi quando vi è una difformità tra il valore rilevante della società target garantito dal venditore e quello effettivo: la clausola ha dunque lo scopo di ripristinare l’originario equilibrio tra le prestazioni corrispettive contrattuali principali. Si tratta di una situazione che si verifica dopo che si è prodotto l’effetto traslativo (con l’alienazione delle azioni a carico del venditore) in esito al finale assetto pecuniario della vicenda (con il pagamento del prezzo, definitivo e non provvisorio , a carico del compratore, ancorato al valore rilevante).

La Cassazione ha pertanto chiarito che l’obbligo di indennizzo a carico del venditore è un meccanismo patologico che attiene alla reintegrazione del valore delle azioni acquistate dal compratore, a causa della difformità tra il valore rilevante della società target garantito convenzionalmente e quello effettivo.

Gli obblighi di aggiustamento del prezzo (provvisorio) – secondo lo schema dell’aggiornamento del patrimonio netto (aggiustamento del prezzo su base economica) o della posizione finanziaria netta (aggiustamento del prezzo su base finanziaria) – a carico del venditore o del compratore, costituiscono invece un meccanismo fisiologico che concerne la fissazione del prezzo (definitivo), in funzione del valore rilevante, ossia effettivo della società target alla data del “closing”.

Da un punto di vista pratico, questa differenza comporta che, in caso di disaccordo tra le parti, la determinazione dell’indennizzo è devoluta al Giudice (ordinario od arbitrale) poiché la decisione comporta la risoluzione di una vera e propria controversia.

La determinazione del prezzo “da aggiustare” è invece normalmente demandata ad un terzo valutatore indipendente (c.d. esperto) dal momento che è necessario definire o modificare una prestazione oggetto del contratto cioè il prezzo.

Ne discende pertanto che quando le parti non hanno contemplato l’esperimento, in via stragiudiziale, di una perizia contrattuale per l’adeguamento del prezzo di cessione, ma hanno individuato i criteri per la definizione del corrispettivo, l’attività di verifica può essere rimessa all’autorità giudiziaria che può avvalersi di un consulente tecnico quando dovesse insorgere un contenzioso tra le parti in merito alla determinazione finale del prezzo.

La Cassazione ha ritenuto particolarmente rilevante la distinzione tra clausole di “price adjustment” e di “indemnity” perché le sopravvenienze passive possono essere contemplate, a seconda dei casi, come: a) “causa giustificativa” della revisione del corrispettivo fissato in via provvisoria, con funzione di riequilibrio del sinallagma contrattuale, in cui il beneficiario è l’acquirente, ovvero b) “fonte di un obbligo di natura indennitaria-risarcitoria”, il cui beneficiario è la società target [5].

Nel caso di specie, le sopravvenienze passive sono state considerate ai fini della rettifica del prezzo, non interamente versato al momento della conclusione del negozio di cessione in quanto era stato concordato un piano rateale di pagamento.

La previsione si configura pertanto come criterio di revisione del corrispettivo concordato in via provvisoria e non come indennizzo da corrispondere in ragione della violazione delle clausole di garanzia di un contratto di cessione di partecipazioni a fronte di un prezzo già versato.

Per la Cassazione solamente con la “clausola di garanzia”, il cedente della quota di partecipazione assume un autonomo e specifico obbligo di indennizzo, rappresentato dal reintegro (totale o parziale) di passività sopravvenute riferibili alla gestione anteriore all’acquisto (obbligo di “manleva”).

La “clausola di garanzia” ha dunque una funzione di garanzia di tipo assicurativo in cui l’obbligazione posta a carico del cedente è finalizzata a tenere il cessionario indenne (indemnity) dagli effetti pregiudizievoli sulla consistenza patrimoniale della società derivanti da un fatto predeterminato.

Si tratta di una obbligazione pecuniaria di dare sottoposta a condizione sospensiva: è necessario prendere in considerazione gli eventi rilevanti specificati nel contratto in grado di intaccare la situazione patrimoniale della società, vale a dire i fatti risalenti all’epoca precedente alla formalizzazione della cessione, i cui effetti si manifestino successivamente (condicio in praesens ve in praeterium coata).

Alla luce dei principi sopra richiamati, la Cassazione ha osservato che, nel caso in esame, la clausola di “aggiustamento” (“price adjustment”) del prezzo risponde al requisito della sufficiente determinabilità ex art. 1346 c.c. ed art. 1474 c.c.

Le passività sopravvenute, per le quali l’art. 4 bis dell’accordo del 08.06.2005 prevedeva la possibilità di “compensazione” con il prezzo dovuto, erano delimitate a quelle risalenti a fatti verificatisi in un momento anteriore al perfezionamento della cessione (elemento temporale), per le specifiche causali riportate nell’accordo (tributi, accessori e sanzioni IVA, IRPEG, IRAP, contributi, accessori e sanzioni INPS e INAIL) (elemento causale) e riconducibili a soggetti specifici (Ministero dell’Economia, Ministero del Welfare, INPS e INAIL) (elemento soggettivo).

La misura definitiva del prezzo era pertanto influenzata dal verificarsi delle sopravvenienze a vantaggio dell’acquirente e non della società target [6].

La Cassazione non ha pertanto ravvisato alcuna violazione dei canoni di correttezza e buona fede in quanto è rimessa all’autorità giudiziaria la possibilità di circoscrivere la portata della clausola rispetto alle sopravvenienze passive (anche tramite l’ausilio di un perito) purché non risulti per tabulas che di esse si sia tenuto conto ai fini della riduzione del prezzo.

Il quantum dello scomputo delle poste debitorie deve tenere conto dell’importo finale delle passività effettive gravanti sul patrimonio della società iscritte a bilancio (“ora per allora”) e non imputabili all’acquirente, secondo la previsione della clausola negoziale (“earn-out”).

Si tratta di un elemento fondamentale per stabilire se sia necessario fare riferimento alle somme indicate al momento della notifica delle cartelle oppure al momento dell’accertamento definitivo, preso atto dell’esito degli eventuali contenziosi e delle eventuali transazione raggiunte con i creditori alla luce della gestione rimessa alla nuova compagine sociale.

Il prezzo effettivo dovuto per l’operazione traslativa si realizza attraverso un meccanismo di compensazione impropria al termine di un accertamento contabile (di dare e avere tra le parti) con conseguente annullamento automatico dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, tenuto conto delle quantificazioni contemplate nel contratto [7].

Alla luce dei principi sopra richiamati, la Cassazione ha riconosciuto fondati i motivi di impugnazione ed ha pertanto accolto il ricorso.


[1] Cass. Civ., Sez. II, 14/09/2022 n. 27028; Cass. Civ., Sez. I, 29/10/2018, n. 27390; Cass. Civ., Sez. III, 09/03/2010, n. 5665; Cass. Civ., Sez. I, 26/02/2009, n. 4670; Cass. Civ., Sez. III, 28/10/2004, n. 20906; Cass. Civ., Sez. I, 17/08/2004, n. 16038; Cass. Civ., Sez. I, 13/03/2019, n. 7194.

[2] Cass. Civ., Sez. II, 03/07/1999, n. 6893

[3] Cass. Civ., Sez. V, 23/06/2021, n. 17869; Cass. Civ. Sez. VI-1, 06/10/2020, n. 21371; Cass. Civ., Sez. I, 11/11/2016, n. 23064; Cass. Civ., Sez. III, 14/07/2011, n. 15444

[4] Cass. Civ., Sez. III, 14/02/2012, n. 2087; Cass. Civ., Sez. I, 23/06/2010, n. 15220; Cass. Civ., Sez. III, 19/07/2007, n. 16031; Cass. Civ., Sez. I,13/12/2006, 26690; Cass. Civ., Sez. I, 21/06/1996, n. 5773; Cass. Civ., Sez. I, 15/10/1991, n. 10829; Cass. Civ., Sez. I, 21/06/1974, n. 1836

[5]Cass. Civ, Se. V, 26/11/2021, n. 36831; Cass. Civ., Sez. V, 13/08/2020, n. 17011.

[6] Cass.Civ., Sez. I, 28/01/2010, n. 1871; Cass. Civ., Sez. I, 28/11/1994, n. 10168; Cass. Civ., Sez. I, 05/07/2000, n. 8969.

Tutti i diritti del presente articolo sono riservati. Fonte: Altalex