In un momento in cui il sistema Paese cerca il rilancio e si appresta a programmare la spesa di oltre 300 miliardi di euro nei prossimi 5 anni, c’è un settore che sembra avvolto nella nebbia: quello della Giustizia.
Sulle colonne “virtuali” di Avv4.0 abbiamo già segnalato la scarsa propensione di via Arenula ad avviare un confronto trasparente con tutti gli operatori dell’ecosistema per rilevarne bisogni e aspettative in vista dei progetti di innovazione.
Ora il
Piano nazionale di Resilienza è stato presentato e reso pubblico, ma è mancante di quella lista dei progetti concreti e operativi su cui già si sarebbe dovuto iniziare a lavorare: non c’è progetto che funzioni se non ha il coinvolgimento di tutti gli stakeholder.
Avv4.0 ha anticipato quella lista provvisoria nell’articolo
Giustizia Digitale: i progetti innovativi italiani.
Poi, il buio. 
In questo articolo del presidente della Corte di Appello di Brescia, Claudio Castelli, che volentieri ospitiamo (e condividiamo alla lettera), viene scattata una fotografia delle condizioni in cui versa oggi la Giustizia digitale nel XXI secolo e le questioni urgenti poste dall’incalzare delle nuove tecnologie, ma tuttora ignorate. 
Buona lettura. cm

giustizia telematica

La lunga fase di lock down e di sospensione dell’attività giudiziaria avutasi nella primavera dell’anno passato e le difficoltà della ripresa a partire da maggio hanno avuto un lato positivo: dimostrare l’arretratezza tecnologica e culturale del nostro sistema e di tutti noi (salvo qualche luminosa eccezione). Questo ha costretto il Ministero ad una drammatica ed apprezzabile accelerazione con l’introduzione di sistemi di collegamento da remoto, con l’accesso ai registri informatici e con l’attuazione di primi pezzi di Processo Penale Telematico (l’utilizzo della PEC, il Portale).

Sommario

Trasformazione digitale e Giustizia

Ma la sensazione che abbiamo sempre più è di rincorrere e di essere sempre più lenti rispetto alle necessità di modernizzazione che ha la giustizia e più in generale il nostro Paese.

Ricordiamo che il Processo Civile Telematico, ancora perfettamente funzionante, è stato ideato nei primi anni del 2000 e la sua struttura (pur soggetta a costanti aggiornamenti) è sostanzialmente la medesima di allora basandosi su atti sostanzialmente dematerializzati e non nativi digitali.

Che il gestore documentale del penale (il TIAP) è un sistema ideato a Roma nel 2003-2005 e si basa anch’esso sulla dematerializzazione e non sulla produzione di atti nativi digitali.

Che la PEC è un sistema superato e che dovrebbe essere sostituito con portale e upload.

Che la banca dati dei provvedimenti è lontana dall’essere realizzata continuando a seguire progetti (uno del CSM ed uno del Ministero) parziali e ormai superati.

Che la tenuta dei server e la continuità della rete giustizia sono sempre più in crisi con frequenti blocchi.

Che l’assistenza informatica, sostanzialmente esternalizzata da anni, è sempre più insufficiente rispetto alle necessità e lontana dagli operatori, oltre che segnata da enormi differenze sul territorio.

Quali sono i progetti del Ministero della Giustizia?

Probabilmente il Ministero della Giustizia che, a differenza di anni passati, almeno dal 2015, vanta investimenti significativi, ha progetti e bandi sulla reingegnerizzazione dei sistemi e sulla realizzazione del portale, ma si tratta di iniziative che mancano totalmente di trasparenza e di informazione e che vengono realizzate senza più coltivare quella preziosa interlocuzione con gli uffici giudiziari e con l’avvocatura che è stata una delle carte vincenti nella realizzazione del PCT.

Non sappiamo quali sono le priorità del Ministero, quali i progetti, quali i tempi, a conferma di una lontananza negativa e pericolosa. In parte ciò deriva da una politica di comunicazione del Ministero che riguarda più il Ministro pro tempore che la struttura e la sua realizzazione. In parte deriva dalla debolezza della DGSIA, sia per una cronica e sempre più evidente carenza strutturale, sia perché storicamente subisce le scelte politiche senza alcun coordinamento.

La debolezza ed insufficienza della DGSIA appare particolarmente forte in questo periodo se si pensa che per la prima volta c’è stato uno sciopero che ha visto l’adesione del 65 % degli addetti a DGSIA e CISIA e che mancano sia un rapporto con gli uffici giudiziari e l’avvocatura, sia la presenza di punti di riferimento cui rappresentare problemi e necessità (l’abbandono di alcuni dei protagonisti delle passate feconde stagioni suona come ulteriore campanello di allarme).

I pericoli che corre la Giustizia

Questa debolezza apre diversi problemi: il rischio di rimanere in balia del fornitore dei sistemi informatici, il pericolo che riprenda vigore la tentazione già sventata in passato di ricomprendere anche l’informatica giudiziaria nell’ambito di altre agenzie informatiche pubbliche. Questo passaggio francamente spaventa perché società ignare delle specificità dell’attività giudiziaria e delle necessità di avvocatura e utenza rischierebbero di realizzare sistemi lontani dalle reali esigenze e senza neppure avere la possibilità di avere una rapida interlocuzione con avvocati e uffici giudiziari. Il rischio complessivo è quello di un dominio delle esigenze dell’economia e non della giustizia e di aprire sempre più spazi a iniziative private in tema di programmi, banche dati, applicazioni che come tali inevitabilmente non hanno un respiro generale e sono ispirate da ragioni di business e di profitto. Una prospettiva quanto mai attuale con il prossimo arrivo di app di società private che tendono a sostituire la consulenza legale e le banche dati giurisprudenziali.

I timori non sono di perdere potere, ma di consentire la realizzazione di sistemi che non si confrontano con le problematiche e le esigenze che i diversi soggetti che operano nella giustizia hanno (magistrati, avvocati, funzionari, cancellieri, ufficiali giudiziari, professionisti) e che una volta realizzati si rivelano del tutto disfunzionali e inidonei. Se c’è un elemento positivo che va rivendicato nella realizzazione del P.C.T., è stata la costante interlocuzione tra D.G.S.I.A., fornitore, magistrati, avvocati, cancellerie, tecnici, tra l’altro con una positiva sinergia pubblico-privato, che ha consentito di indicare le esigenze e di continuare a realizzare modifiche evolutive e correzioni dei sistemi sulla base delle esperienze maturate sul campo.

Banche-dati giudiziarie

Uno dei terreni su cui più evidente è il ritardo dell’informatica giudiziaria è quello delle banche dati dei provvedimenti. L’unica vera, seria e completa banca dati oggi esistente a livello nazionale è quella della Corte di Cassazione. Quanto alla giurisprudenza di merito (il terreno più ricco, interessante e fecondo) siamo ancora fermi al D.M.1° ottobre 2015 e alle delibere del C.S.M. del 31 ottobre 2017 e 9 maggio 2018. Progetti che nascono già superati perché basati su di una cernita inevitabilmente soggettiva e parziale dei provvedimenti, quando le possibilità oggi date dalla tecnologia fanno ritenere che sarebbe fondamentale la realizzazione di un repository nazionale in cui canalizzare tutti i provvedimenti adottati da tutti gli uffici giudiziari, e, previa anonimizzazione, di metterli a disposizione di tutti. Sarà poi tramite canali di ricerca, parole chiave, algoritmi, che da questo enorme giacimento si potranno estrarre le pronunce che interessano che potranno essere disponibili per strutture pubbliche e private che potranno in tal modo svolgere approfondimenti e realizzare servizi anche a pagamento (come app dedicate a materie o territori). I progetti oggi in campo come quello di Giustizia Predittiva in corso a Brescia scontano questa mancanza che può essere colmata solo a livello nazionale. In mancanza viene ad essere inevitabile muoversi in modalità ancora artigianali (anche se di alto livello) con la scelta dei provvedimenti demandata alle sezioni e la loro elaborazione attraverso competenze giuridiche, nella consapevolezza che questo lavoro dovrà fare un salto di qualità con la creazione di un archivio distrettuale, l’estrazione tramite parole chiave e algoritmi e la elaborazione di abstract in modo automatico, attraverso un processo di machine learning.

Le proposte pubblicate per la giustizia nella bozza di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza circolata a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri sono sotto questo profilo poco innovative, ancora fondamentalmente basate su interventi normativi su processo e ordinamento, con progetti sulla digitalizzazione e sulla trasformazione del sistema allo stato generici.

Probabilmente le proposte in campo vanno molto oltre le scarne pagine della Presidenza dei Consiglio dei Ministri, ma a questo punto si pongono tre problemi:

  • la necessità di trasparenza anche per consentire di dare un contributo, idee e, eventualmente, osservazioni ed evoluzioni;
  • l’apertura di canali di interlocuzione con gli uffici giudiziari e l’avvocatura che soli possono consentire una verifica, sperimentazione e correzione dei progetti;
  • chi gestirà questa enorme mole di progetti stante la debolezza di una DGSIA che arranca di fronte alle attuali necessità e che andrebbe fortemente potenziata di professionalità gestionali e tecniche.

Per questo credo che dobbiamo auspicare e far sì che si apra una nuova stagione di progettualità per gli uffici giudiziari e per l’avvocatura, non in conflitto, ma come stimolo, supporto e verifica dei progetti ministeriali, svolgendo sperimentazioni su singoli assi e fornendo per quanto possibile quelle capacità gestionali e tecniche oggi mancanti.

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