societàLa consapevolezza che la libertà delle generazioni future dipenda in modo cruciale dall’integrità dell’ambiente naturale che questi erediteranno rende imperante l’esigenza di affidarsi alla legge per consentire alle società più responsabili di poter godere di un riconoscimento giuridico che identifichi e protegga il loro impegno oltre la creazione di un mero profitto economico.

Si scandagliano, così, le tappe della esperienza statunitense che ha consegnato un nuovo modello, quello delle Società Benefit, che ha fatto breccia nel sistema italico quale pioniere nel panorama del vecchio continente. L’analisi di specifici case study e le iniziative dei legislatori offriranno al lettore una chiara tendenza del classico governo societario verso una maggiore attenzione agli impatti ambientali e sociali. 

Sommario

  1. Le Società Benefit: una inedita visione di impresa socialmente orientata
  2. B-Corporation e Società Benefit
  3. Il ruolo della certificazione B-Corp di B Lab
  4. Società Benefit: tra dividendi degli utili e beneficio comune
  5. (segue)… l’oggetto sociale

1. Le Società Benefit: una inedita visione di impresa socialmente orientata

L’emergenza sanitaria planetaria causata dalla pandemia da COVID-19, impone ulteriori e più incisive riflessioni sul ruolo che le imprese sono chiamate a svolgere in un’ottica di netta revisione delle opportunità di produzione e sviluppo onde evitare un collasso economico e sociale di vaste ed incontrollabili proporzioni. È, dunque, necessario pensare, sviluppare e diffondere nuovi modelli di business sostenibili al fine di essere organizzati e pronti per il tempo della ripresa. L’impresa, dunque, pensata quale generatore di benessere e non più cieco centro di profitto1.

È stato il modello della Benefit Corporation nordamericana a costituire, dunque, il precursore della Società Benefit italiana. Alcuni Stati nordamericani hanno avvertito imperante, difatti, la esigenza di coniare una normativa specifica per superare gli ostacoli alla costituzione di società volte a perseguire anche scopi sociali (c.d. public benefit).

Negli Stati Uniti, a seguito di alcuni celebri casi giudiziari, si è reso necessario, dunque, un intervento legislativo finalizzato ad accordare dignità giuridica al perseguimento da parte della impresa di interessi di dissimile natura rispetto allo shareholder value.

Più nel dettaglio, le Corti avevano bocciato iniziative imprenditoriali realizzate tramite corporation tradizionali che perseguivano scopi differenti dal profit of the stockholders.

Antesignana in materia è stata la vicenda giudiziaria che vide come protagonista nel 1916 il celebre industriale Henry Ford, il quale decise di impiegare i profitti della società per assumere nuovi dipendenti pagando loro salari più elevati di quelli sul mercato. Non tutti i soci della Ford Motor Co. furono d’accordo. La deliberazione relativa alla non distribuzione degli utili venne impugnata e la Corte Suprema del Michigan diede ragione agli attori, ribadendo il saldo principio lucrativo della corporation.

Con maggiore impegno esplicativo, la Corte accolse l’impugnativa del socio dissenziente affermando che, se è vero che il diritto societario riconosce ampia discrezionalità agli amministratori – e, quindi, piena legittimità delle loro scelte gestorie (la c.d. business judgment rule) – tuttavia tale discrezionalità non si estende fino al punto di modificare lo scopo e le finalità della società, che resta quella della distribuzione degli utili e, dunque, della massimizzazione del profitto derivante dall’investimento.

Ebbene, in questa circostanza Ford, pur perdendo la battaglia, vinse la guerra!

Dalla fine del secolo scorso negli Stati Uniti d’America ha preso piede, infatti, un ampio movimento ispirato alla creazione di Benefit Corporation o per lo più di società che fossero certificate quale benefit. Questa evoluzione è avvenuta, tuttavia, nonostante il fatto che la giurisprudenza americana sia rimasta saldamente ancorata nel ritenere primario lo scopo sociale della massimizzazione del valore delle partecipazioni per i soci.

Trai leading cases in materia, giova ricordare il casus decisus – a distanza di quasi un secolo dal caso Ford – dalla Court of Chancery del Delaware, la quale ebbe a pervenire ad analoghe conclusioni relativamente alla Craigslist corporation2.

Più nel dettaglio, la controversia verteva sulla legittimità della scelta degli amministratori di privilegiare l’attività no profit rispetto al perseguimento della massimizzazione dell’utile.

Nella circostanza specifica, l’organo di giustizia rigettava l’impianto argomentativo prodotto dagli azionisti di maggioranza sulla scorta della considerazione che, benché non vi sia nulla di inappropriato nel fatto che una organizzazione cerchi di aiutare la comunità locale, la finalità societaria, tuttavia, non è filantropica, almeno fino a quando non vi siano azionisti interessati alla massimizzazione dei loro investimenti. La Corte confermava, poi, la perentorietà del proprio orientamento tuonando che gli amministratori che non avessero anteposto l’obiettivo della massimizzazione dei profitti avrebbero potuto essere ritenuti responsabili di una violazione dei loro fiduciary duties connessi a doppio filo al mandato ricevuto. In conclusione: la corporate form non è un veicolo appropriato for purely philanthropic ends.

La suddetta impostazione esegetica prestava, tuttavia, il fianco ad una osservazione di non poco momento: onde evitare che avessero a crearsi sacche di responsabilità oggettiva a carico degli amministratori, risultava quanto mai opportuno “rivedere” le regole del giuoco3.

Nella esperienza americana si è assistito, difatti, ad un passaggio del testimone da un formatore ad un altro: i traguardi che l’evoluzione giurisprudenziale non è stata in grado di garantire, sono stati raggiunti per via legislativa, seguendo un percorso che permea ogni società democratica.

Or bene, negli Stati Uniti questo percorso evolutivo si è tradotto in una legge modello che ha visto la luce grazie all’attività di lobby esercitata per anni da organizzazioni no profit, utilizzando il canale del Model Business Corporation Act, all’interno del quale si è collocato un modello per le Benefit Corporation, le di cui caratteristiche saranno oggetto di successiva trattazione.

Una pluralità di Stati federali ha, poi, promulgato leggi che recepissero, in varia misura, la c.d. legge modello, dando, di fatto, la stura ad una sequenza di oscillazioni e distonie interpretative. A mero titolo esemplificativo, giova addurre l’esempio di alcuni Stati – tra cui la California – che, a differenza di altri, hanno riconosciuto la forma benefit solo per le corporation e non anche per le limited liability company (rectius, la forma societaria che maggiormente si avvicina alle nostre srl)4. Basti pensare come, ad oggi, si contano più di 30 pronunciamenti che tradiscono un diverso orientamento5.

Il variegato panorama giuridico-interpretativo di cui si è detto, ha rappresentato, dunque, terreno fertile per il ricorso a differenti denominazioni volte a descrivere, e normare, l’inedito fenomeno: Benefit Corporation, Public Benefit Corporation6, Social Purpose Corporation7 e Sustainable Business Corporation8.

Sulla scorta di quanto testé rilevato emerge evidente, dunque, che sebbene la esperienza giurisprudenziale e legislativa americana sia stata caratterizzata da un andamento ondivago, è comune sentimento che il modello delle Benefit Corporation sia in ascesa, imponendosi con sempre maggiore evidenza la necessità di una netta revisione delle opportunità di produzione e di sviluppo per evitare un collasso economico e sociale di vaste e incontrollabili proporzioni.

Come si avrà modo di osservare nel prosieguo della trattazione, nello stigma della esperienza statunitense l’Italia rappresenterà il primo Paese sovrano ad accordare dignità giuridica a tutti quei modelli societari che vogliano strutturalmente guardare alla sostenibilità e includere obiettivi di tipo sociale ed ambientale all’interno della loro missione.

2. B-Corporation e Società Benefit

Dal movimento promosso da B Lab e dalle prime B Corporation certificate (2007) si sono poste le basi per la creazione della forma giuridica delle Benefit Corporation la cui legislazione è stata approvata per la prima volta nell’Aprile 2010 in Maryland (USA) per poi diffondersi in altri stati federali degli Stati Uniti. Tale forma giuridica è poi arrivata in Europa dove l’Italia, con la legge di stabilità per il 2016, ha rappresentato il primo paese europeo a dotarsi di una normativa sulle Società Benefit, dopo che le prime B Corporation certificate avevano iniziato ad emergere nel 20139. L’attenzione alla società, l’ambiente ed il tornaconto economico vengono visti come elementi imprescindibilmente interconnessi e parti integranti dei processi decisionali strategici. La Società Benefit rappresenta, quindi, una trasformazione positiva dei modelli dominanti di impresa a scopo di lucro, al fine di affrontare le sfide globali e le opportunità del XXI secolo.

3. Il ruolo della certificazione B-Corp di B Lab

In apice ad ogni ulteriore considerazione una puntualizzazione è d’obbligo: la certificazione B Corporation è emessa da un’organizzazione privata (B Lab) e non ha valenza di legge. La Benefit Corporation e la Società Benefit, normata dall’ordinamento italiano, presentano elementi di dissonanza10.

Per ottenere la certificazione B-Corp non è necessario adottare la forma giuridica di Benefit Corporation o Società Benefit, tuttavia, per poterla mantenere l’impresa deve adottare tale forma entro due o quattro anni a partire dalla data della prima certificazione.

La certificazione B-Corporation (o B-Corp) è una certificazione rilasciata alle imprese richiedenti da B Lab, Società no-profit statunitense. Per ottenere e mantenere la certificazione, le società devono raggiungere un punteggio minimo compilando un questionario di analisi delle proprie performance ambientali e sociali oltre ad inserire nello Statuto il proprio impegno verso gli Stakeholder11.

L’obiettivo del “Movimento B-Corp” è far sì che i risultati di carattere ambientale e sociale delle imprese siano misurati in modo tanto rigoroso quanto i risultati di carattere finanziario. La certificazione B-Corp rappresenta uno standard di valutazione esterno assegnato da una parte terza che richiede alle società di rendere pubblico il punteggio ottenuto tramite il protocollo B Impact Assessment12. Si tratta dello standard più diffuso al mondo, adottato da oltre 60.000 imprese in oltre 50 paesi13. La certificazione concerne l’intera Società comprendendo tutte le aree aziendali e qualsiasi impresa può richiedere la certificazione.

Tra gli altri, vantaggi degni di nota sono la possibilità di disporre di un quadro completo delle proprie performance ambientali e sociali, accedere al network del Movimento B-Corp, differenziarsi sul mercato, attrarre i c.d. talenti sempre più sensibili a questi temi, attrarre investimenti e proteggere la missione aziendale.

Per ottenere la certificazione l’impresa completa il questionario B Impact Assessment: uno strumento di analisi on-line, gratuito e confidenziale. Le imprese che raggiungono il punteggio minimo di 80 punti su 200 sono sottoposte a verifica tramite un processo di validazione. Per proseguire e ottenere la certificazione le società devono produrre la documentazione di supporto14.

Lo strumento comprende tutti gli ambiti aziendali e misura gli impatti positivi nelle aree di governance, risorse umane, comunità, ambiente oltre al prodotto o servizio offerto. Fornisce indicazioni utili sulla performance economica, sociale e ambientale dell’impresa, anche senza avviare il processo di certificazione. La società che attraverso il proprio modello di business riduce problemi ambientali o sociali viene premiata per le aree di impatto di maggior rilievo (governance aziendale, risorse umane, comunità, ambiente). A seconda del settore, della posizione geografica e del numero di dipendenti il questionario on-line regola i coefficienti delle domande per aumentare o diminuire la loro rilevanza. Per esempio, le imprese con più dipendenti avranno un coefficiente più “pesante” nella categoria risorse umane e società del settore manifatturiero avranno un coefficiente più pesante nella categoria ambiente15.

Lo standard di certificazione B-Corp è indipendente, completo e trasparente e B Lab ha un Consiglio indipendente. Il Consiglio suggerisce miglioramenti del questionario su base biennale.

La certificazione richiede alle imprese di integrare il proprio impegno nei confronti degli stakeholder all’interno dei documenti statutari. Le modifiche ai documenti statutari includono:

i. la dichiarazione esplicita nell’atto costitutivo o nello statuto di: “prendere in considerazione gli interessi degli stakeholder”;

ii. la definizione di “stakeholder” come dipendenti, comunità, ambiente, fornitori, clienti ed azionisti;

iii. la garanzia che i valori aziendali possano essere mantenuti a seguito di cambi di management, di proprietà o di investitori.

Nel corso della dissertazione emergerà evidente, allora, che B Corp e Società Benefit saranno modelli avvinti da un legame di complementarietà. Quest’ultimo consentirà di riconoscere e proteggere la missione nel medio e lungo termine, mentre la certificazione B Corp sarà un’aspirazione più alta che si potrà ottenere solo dopo essersi adeguati ai parametri del B Impact Assessment, avendo ottenuto il punteggio minimo determinato. Quest’ultima prevedrà, poi, tutta una serie di servizi e supporti da parte di B Lab (id est, l’utilizzo del brand e del logo “Certfied B Corp” sui suoi prodotti e in tutte le sue comunicazioni e i suoi documenti)16.

A chiosa delle presenti riflessioni è, allora, importante riconoscere che le Società Benefit non esisterebbero senza le B Corp: aziende ‘attiviste’ che hanno tracciato la strada, scelto di guidare il cambiamento e promosso la nascita della forma giuridica delle Società Benefit.

In Italia, dopo l’entrata in vigore della legge, le B Corp certificate hanno anche il vincolo, per mantenere la certificazione, di convertirsi in Società Benefit entro 2/4 anni ma quest’obbligo non vige nel senso contrario: una Società Benefit può rimanere tale anche senza aver ottenuto il marchio B Corp. La forma giuridica è quindi complementare al riconoscimento in quanto esplicita formalmente la responsabilità del management e degli azionisti di perseguire obiettivi di impatto positivo17.

4. Società Benefit: tra dividendi degli utili e beneficio comune

Nel nostro ordinamento, recentemente è stato coniato un inedito modello di impresa in forma collettiva, la cosiddetta società benefit18.

La legge n. 208 del 28 dicembre 201519 ha introdotto, difatti, una nuova disciplina volta a favorire la diffusione di società, denominate società benefit, che uniscono lo scopo di lucro con l’obiettivo di migliorare il contesto ambientale e sociale nel quale operano20.

Si tratta di una previsione normativa innovativa che legittima e attribuisce valore a un nuovo modo di fare impresa21.

Con maggiore impegno esplicativo, la disciplina de qua incide sul modello imprenditoriale tipico delle società22, attribuendo legittimità ad una attitudine imprenditoriale in linea con i cambiamenti macroeconomici in atto, che coniuga la necessità di perseguire risultati economici con quella di soddisfare interessi diversi rispetto a quelli dei soci, attraverso un impiego responsabile e sostenibile delle risorse necessarie allo svolgimento del processo produttivo23.

A tal fine la legge non introduce un nuovo paradigma societario24, potendo la società benefit assumere la veste giuridica di ciascuna delle società di cui al libro V, titoli V e VI, del codice civile25, nel rispetto della relativa disciplina26, ma delinea un quadro normativo in cui la duplice finalità del profitto e del beneficio comune27 si declina nell’oggetto sociale e nella governance28 dell’impresa29.

Le nuove disposizioni prevedono, infatti, che:

i. le finalità di beneficio comune perseguite siano indicate nella clausola statutaria dell’oggetto sociale30;

ii. la società sia gestita in modo da bilanciare l’interesse dei soci con l’interesse di coloro sui quali l’attività sociale possa avere un impatto31;

iii. sia individuato, nell’ambito dell’organizzazione societaria, il soggetto cui attribuire i compiti e le funzioni finalizzate al perseguimento del beneficio comune32;

iv. sia reso conto annualmente degli obiettivi perseguiti e realizzati attraverso una relazione da allegare al bilancio societario33;

v. a chiusura del sistema, l’effettività della disciplina sia garantita dalla statuizione che il mancato perseguimento in concreto delle finalità di beneficio comune dichiarate comporti l’applicazione delle disposizioni in materia di pubblicità ingannevole e quelle del codice del consumo in tema di pratiche commerciali scorrette34.

Non trattandosi di una nuova forma societaria e non essendo prevista alcuna deroga al regime ordinario, questa disciplina si affianca e integra quella prevista dal codice civile35 per il tipo societario prescelto, con alcuni obblighi aggiuntivi36. Manca, invece, nelle norme qualunque forma di incentivo fiscale o di altra natura per la costituzione di tali società.

L’indicazione nell’oggetto sociale delle finalità perseguite37 rende pienamente lecito ciò che prima si configurava di dubbia ammissibilità, cioè la possibilità di indicare nello statuto scopi ulteriori a quello tipico della causa societaria, cristallizzando e vincolando nel tempo lo scopo dell’impresa, rendendola più stabile e insensibile a eventuali mutamenti degli assetti proprietari o del management.

L’obbligo di gestire la società bilanciando38 l’interesse dei soci con quello degli altri stakeholders39 rappresenta il cuore della disciplina della società benefit. Questa previsione amplia, infatti, la discrezionalità degli amministratori e ne circoscrive la responsabilità, rendendoli immuni da azioni da parte dei soci per aver considerato nelle proprie scelte strategiche anche profili sociali e ambientali, oltre a quello della massimizzazione del profitto40.

5. (segue)… l’oggetto sociale

La legge stabilisce che la società benefit deve indicare nell’ambito del proprio oggetto sociale le finalità specifiche di beneficio comune che intende perseguire41. Tale disposizione è volta a consentire espressamente alla società di attribuire stabilità e certezza a un progetto imprenditoriale in cui la massimizzazione del profitto non costituisce l’unico obiettivo dell’attività dell’impresa.

Prima dell’entrata in vigore della disciplina in esame si era posta la questione se una società potesse perseguire accanto allo scopo di lucro finalità ideali e se fosse possibile indicare queste ultime nell’oggetto sociale. Sebbene parte della dottrina fosse orientata ad ammettere tale possibilità, nella prassi le società che intendevano perseguire un duplice scopo incontravano difficoltà ad iscrivere nel registro delle imprese uno statuto preordinato in tal senso42. Peraltro, il dibattito dottrinale era orientato a ritenere che l’eventuale emersione di interessi altri rispetto a quello di massimizzazione del profitto non si dovesse tradurre in un’inclusione degli stessi nell’interesse sociale43.

L’indicazione statutaria dell’elemento ideale avrebbe avuto il solo scopo di evidenziare il semplice apprezzamento dei soci per attività benefiche o altruistiche al fine di un miglioramento dell’immagine della società, nonché quello di fornire agli amministratori una precisa indicazione del settore in cui concentrare attività pro bono. Non avrebbe, invece, rappresentato un’ulteriore finalità della società idonea ad orientare la gestione dell’impresa44.

Con la nuova disciplina si profila un cambiamento nella configurazione dell’interesse sociale per quelle società che intendono assumere come obiettivo il beneficio comune. Le società benefit possono, infatti, espressamente perseguire due obiettivi: profitto e beneficio comune, con il conseguente sorgere di nuovi compiti e responsabilità in capo agli amministratori.

Le finalità ideali entrano nel processo produttivo vincolando gli amministratori a precise scelte di politica imprenditoriale basate sul bilanciamento tra diversi interessi. L’indicazione delle finalità di beneficio comune nell’oggetto sociale consente di cristallizzare gli obiettivi perseguiti nell’esercizio dell’attività economica rendendo immanente all’impresa l’impegno della realizzazione del beneficio comune, a prescindere dalle vicende che interessano i soci e il management45.

Ciò offre nuove alternative alle società che intendano perseguire finalità ulteriori rispetto allo scopo di lucro, le quali potranno aprirsi al mercato per la ricerca di nuovi capitali, crescere, o cedere l’attività senza che a ciò consegua la perdita dei valori originari dell’impresa.

L’obbligo di indicare nell’oggetto sociale le finalità di beneficio comune si applica non solo alle società benefit di nuova costituzione, ma anche alle “società diverse dalle società benefit, qualora intendano perseguire anche finalità di beneficio comune46”. In tal caso queste società sono tenute a modificare l’atto costitutivo o lo statuto, nel rispetto delle disposizioni che regolano le modificazioni del contratto sociale o dello statuto proprie di ciascun tipo di società. Tali modifiche devono, inoltre, essere depositate, iscritte e pubblicate nel registro delle imprese secondo quanto previsto dalle regole del tipo societario prescelto47.

La legge stabilisce che la società benefit “può”48 e non “deve” indicare nella denominazione sociale la locuzione “Società Benefit” o l’abbreviazione “SB”, proprio per sottolineare la volontarietà della singola società di assoggettarsi alla disciplina delle società benefit49.

Una interessante questione interpretativa che si pone in relazione all’oggetto sociale della società benefit riguarda il fatto che la legge non specifichi espressamente quali siano le finalità di beneficio comune che possono essere indicate nell’oggetto sociale, rimettendo alla società la libertà di scegliere le finalità in concreto da perseguire50.

Ci si può chiedere, dunque, se tali finalità e i relativi soggetti nei confronti dei quali esse siano rivolte debbano essere necessariamente connesse al processo produttivo dell’impresa oppure se sia ammesso anche il perseguimento di generiche finalità di beneficio comune che nulla abbiano a che vedere con l’esigenza di potenziare le esternalità positive o ridurre le esternalità negative di quella determinata attività51.

Al riguardo si deve segnalare che per far diventare l’impatto sociale parte integrante della strategia d’impresa, al fine di veicolare benessere sia per i soci, sia per la collettività, l’attività volta alla realizzazione del beneficio comune dovrebbe essere strettamente legata alla catena produttiva52. L’essenza della società benefit non è, infatti, quella di un’istituzione filantropica interessata a risolvere le problematiche della società e ad esercitare azioni di generico interesse per la stessa, ma è quella di un’impresa che identifica gli effetti positivi e negativi generati dalla propria attività sul contesto socio ambientale di riferimento e interviene sugli stessi per cogliere le opportunità che possano allo stesso tempo generare benefici sociali ed economici53.

Ciò non esclude, tuttavia, che la società benefit possa destinare parte delle proprie risorse gestionali ed economiche anche a generiche finalità di beneficio comune, quali il perseguimento della crescita del benessere di persone e comunità, alla conservazione e al recupero di beni del patrimonio artistico e culturale presenti nel luogo ove operano o sul territorio nazionale, alla diffusione e al sostegno delle attività culturali e sociali, nonché di enti e associazioni con finalità rivolte alla collettività e al benessere sociale54.

Una tra le realtà che per prime si è resa protagonista di questo cambiamento è stata Patagonia; azienda nata in California, settimo stato americano che ha riconosciuto nel 2012 la nuova forma delle Società Benefit.

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