immigrazioneÈ costituzionalmente illegittimo l’articolo del “decreto sicurezza” (art. 13 d.l. 113/2018) che esclude i richiedenti asilo dall’iscrizione anagrafica. In tal modo, infatti, si realizza un trattamento differenziato, irragionevole e deteriore per una categoria di stranieri – i richiedenti asilo – che dimorano abitualmente sul territorio dello Stato.

La Corte Costituzionale, con la sentenza del 31 luglio 2020 n. 186 (testo in calce), ravvisa una duplice violazione dell’art. 3 Cost.; da una parte, la norma censurata contraddice la ratio del decreto in cui è inserita, in quanto anziché aumentare il livello di sicurezza lo diminuisce; dall’altra, introduce un trattamento differenziato per una specifica categoria di stranieri comportando la violazione della pari dignità sociale.

Sommario

La vicenda

I tribunali di Ancona, Salerno e Milano, aditi da alcuni stranieri richiedenti asilo, che contestavano la mancata iscrizione all’anagrafe della popolazione residente, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale in ordine alla norma del “decreto sicurezza” che esclude questa categoria di stranieri dalla registrazione anagrafica.

La norma del decreto sicurezza oggetto del giudizio di costituzionalità

La censura di legittimità costituzionale riguarda l’art. 13 del d.l. 113/2018, anche detto “decreto sicurezza”. La norma, recante le disposizioni in materia di iscrizione anagrafica, apporta delle modifiche al d.lgs. 142/2015, attuativo della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale. In particolare, l’art. 13 c. 1 n. 2 modifica l’art. 4 del citato d.lgs. 142/2015 introducendo il comma 1 bis che così dispone:

  • «1-bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.».

Prima di soffermarci sulla pronuncia della Consulta, ricordiamo brevemente il quadro normativo di riferimento.

Il quadro normativo in materia di iscrizione anagrafica

L’art. 13 c. 1 n. 2, che ha introdotto il comma 1 bis nell’art. 4 d. lgs. 142/2015, fa riferimento a:

  • DPR 223/1989 recante l’approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente.

  • D.lgs. 286/1998 recante il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. In particolare, l’art. 6 al comma 7 dispone che: «Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione. In ogni caso la dimora dello straniero si considera abitualmente anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza. Dell’avvenuta iscrizione o variazione l’ufficio dà comunicazione alla questura territorialmente competente».

L’interpretazione della norma censurata

La Corte dà atto dell’esistenza di una corrente interpretativa [1] che si fonda sulla scarsa perspicuità del dato letterale della norma de qua ed esclude che essa impedica l’iscrizione anagrafica del richiedente asilo, al contrario, secondo tale prospettiva ermeneutica, si limiterebbe a precisare che il possesso del solo permesso di soggiorno per la richiesta di asilo non è sufficiente per ottenere l’iscrizione all’anagrafe.

Secondo la Consulta, tale opzione esegetica non è praticabile, pertanto, l’art. 13 c. 1 n. 2 d.l. 113/2018 deve interpretarsi nel senso di precludere l’iscrizione anagrafica agli stranieri richiedenti asilo. Tale era l’intenzione del legislatore come si evince dalla relazione illustrativa al decreto e da alcune circolari emanate dal Ministero dell’Interno [2], che espressamente escludono l’iscrizione anagrafica. Quanto sopra è confermato dalla lettura sistematica della disposizione censurata.

Infatti:

  • l’art. 6 c. 7 d.lgs. 286/1998 del 1998 prevede l’iscrizione anagrafica dello straniero regolarmente soggiornante «alle medesime condizioni dei cittadini italiani» e il riferimento ad esso contenuto nella norma censurata è operato per dare atto della deroga introdotta;
  • l’art. 13 c. 1 lett. a), numero 1 d.l. 113/2018 prevede che il permesso di soggiorno costituisce documento di riconoscimento, in quanto i richiedenti asilo non possono ottenere la carta d’identità che presuppone la residenza anagrafica;
  • l’art. 13 c. 1 lett. b), numeri 1) e 2) d.l. 113/2018 sostituendo il «luogo di residenza» con quello di domicilio come luogo di erogazione dei servizi, conferma l’intenzione del legislatore di escludere i richiedenti asilo dal riconoscimento giuridico della dimora abituale operato grazie all’iscrizione anagrafica.

La questione di legittimità costituzionale: violazione dell’art. 3 Cost.

La Corte Costituzionale considera infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 77 Cost. circa i requisiti di necessità e urgenza (si rinvia alla lettura della sentenza). Viceversa, ritiene fondata la questione in relazione alla violazione dell’art. 3 Cost. Secondo i giudici a quibus, la disciplina introdotta dal citato art. 13 del decreto sicurezza, prevede una deroga irragionevole alla regola generale (art. 6 c. 7 d. lgs. 286/1998) secondo cui lo straniero regolarmente soggiornante è soggetto all’iscrizione anagrafica alle stesse condizioni del cittadino italiano.

Di seguito, si riporta il percorso argomentativo seguito dai giudici costituzionali nella pronuncia in commento.

L’irrazionalità intrinseca della norma censurata

La Consulta ritiene la norma censurata affetta da “irrazionalità intrinseca” stante la contraddittorietà rispetto alle finalità perseguite dal decreto sicurezza (in cui è inserita). Il citato decreto, infatti, intendeva sollevare i Comuni in cui sono ubicati i centri di accoglienza dal gravoso onere di provvedere all’iscrizione anagrafica di tutti i richiedenti asilo. Secondo i giudici costituzionali, invece, la mancata iscrizione degli stranieri è contraria alle dichiarate intenzioni di aumentare la sicurezza pubblica, giacché «finisce con il limitare le capacità di controllo e monitoraggio dell’autorità pubblica sulla popolazione effettivamente residente sul suo territorio, escludendo da essa una categoria di persone, gli stranieri richiedenti asilo, regolarmente soggiornanti nel territorio italiano. E ciò senza che questa esclusione possa ragionevolmente giustificarsi alla luce degli obblighi di registrazione della popolazione residente». La Corte Costituzionale ammette che i Comuni interessati dalla presenza massiccia di stranieri si trovino in un’oggettiva situazione di difficoltà nel gestire gli adempimenti amministrativi connessi, nondimeno ritiene che ciò non giustifichi il fatto che un’intera categoria di soggetti sia sottratta all’iscrizione anagrafica, ossia alla registrazione della presenza su un determinato territorio. In tal modo, la norma censurata impedisce il corretto monitoraggio sulla presenza degli stranieri che soggiornano nello Stato in attesa della decisione sulla richiesta d’asilo.

La precarietà della permanenza non giustifica l’esclusione dall’iscrizione anagrafica

La Consulta ritiene che l’esclusione dall’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo non possa essere giustificata dalla circostanza che la loro permanenza sia temporanea. Infatti, il permesso di soggiorno ha una durata di sei mesi ed è rinnovabile sino alla decisione sulla domanda di asilo e nei casi indicati dall’art. 4 d. lgs. 142/2015. In media, il soggiorno si protrae per oltre un anno e mezzo, si tratta di un periodo di tempo significativo che, in quanto tale, è idoneo a giustificare l’iscrizione anagrafica. In tal senso, depone anche l’art. 9 d.lgs. 30/2007 attuativo della direttiva comunitaria sul diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Ebbene, tale norma impone l’obbligo di iscrizione anagrafica per il cittadino europeo che intenda soggiornare nel territorio dello Stato per un periodo superiore a tre mesi. Inoltre, l’art. 6 c. 7 d. lgs. 286/1998 individua «nella permanenza protratta per tre mesi presso un centro di accoglienza il periodo di tempo necessario per considerare abituale la dimora dello straniero, presupposto, questo, per ottenere il riconoscimento giuridico della residenza».

Infine, l’iscrizione anagrafica assume rilievo anche a fini sanitari, perché è sulla base dell’anagrafe dei soggetti residenti che il sindaco può adottare le misure necessarie in caso di emergenze sanitarie limitate al territorio comunale (art. 32 legge 833/1978).

L’irragionevole disparità di trattamento

La violazione dell’art. 3 Cost. emerge soprattutto in relazione all’irragionevole disparità di trattamento dei richiedenti asilo rispetto ad altre categorie di stranieri, nonché rispetto ai cittadini italiani.

Innanzitutto, occorre premettere che il lessema “cittadini” impiegato nell’art. 3 Cost. non limita l’applicabilità della norma ai soli cittadini italiani ma la sua operatività può estendersi agli stranieri, quando si tratta di far valere i diritti fondamentali. Inoltre, «al legislatore non è consentito introdurre regimi differenziati circa il trattamento da riservare ai singoli consociati se non in presenza di una “causa” normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria» (C. Cost. 432/2005).

Una disposizione che introduca un trattamento differenziato tra cittadino e straniero non sempre si pone in violazione con l’art. 3 Cost. e, pertanto, non sempre pecca di irragionevolezza. Infatti, occorre considerare la fattispecie concreta di riferimento in cui, ad esempio, la posizione dello straniero può risultare diversa rispetto a quella del cittadino.

La giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che «la riconosciuta eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei diritti di libertà non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità, la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo apprezzamento» (C. Cost. 104/1969, richiamata dalle pronunce successive, sentenze n. 144/1970, n. 177/1974, n. 244/1974, n. 62/1994, n. 245/2011, e ordinanze n. 503/1987, n. 490/1988).

Ciò premesso, è evidente che la peculiarità di alcune situazioni concrete possa giustificare una disparità di trattamento tra diverse categorie di stranieri legalmente soggiornanti, ad esempio, in relazione ai motivi stessi della loro permanenza. Tuttavia, nel caso in esame, negare l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo, ossia a soggetti che abbiano la dimora abituale nel territorio italiano, comporta un trattamento differenziato e deteriore, in assenza di una ragionevole giustificazione, per una determinata categoria di stranieri.

Infatti, la registrazione anagrafica deriva da un fatto: la legittima dimora abituale in un determinato luogo, pertanto, non assume alcuna rilevanza che il soggetto sia un cittadino o uno straniero, anche richiedente asilo.

Non a caso, la regola generale applicabile allo straniero regolarmente soggiornante (art. 6 c. 7 d. lgs. 286/1998) dispone che si applichino le stesse regole previste per i cittadini italiani. Pertanto, se il legislatore intende derogare a tale disposto, deve indicare le ragioni giustificatrici. La temporaneità del soggiorno invocata per giustificare il diniego di iscrizione non offre una causa giustificatrice idonea.

Conclusioni

Secondo la Corte Costituzionale, l’esclusione dall’iscrizione anagrafica per gli stranieri richiedenti asilo comporta uno “stigma sociale”, da cui derivano conseguenze quali, ad esempio, l’impossibilità di ottenere la carta d’identità. La violazione dell’art. 3 c. 1 Cost., al di là della violazione del principio di eguaglianza, assume valenza come lesione della “pari dignità sociale”. Il legislatore può valorizzare le differenze di fatto tra cittadini e stranieri ma non sino a creare delle irrazionali condizioni di minorazione sociale, poiché lo status di straniero non può giustificare trattamenti diversificati e peggiorativi [3]. Per tutte le ragioni esposte in narrativa, la Corte Costituzionale dichiara fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 3 Cost. e:

«1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 […] come introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 […], convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132;

2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale delle restanti disposizioni dell’art. 13 del d.l. n. 113 del 2018;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015, sollevata, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Milano, prima sezione civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe».

CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA N. 186/2020 >> SCARICA IL TESTO IN PDF

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NOTE

[1] Tale interpretazione è stata sostenuta da Tribunale di Firenze, sezione quarta civile, ordinanza 18 marzo 2019; Tribunale di Bologna, protezione internazionale civile, ordinanza 2 maggio 2019; Tribunale di Genova, sezione undicesima civile, ordinanza 20 maggio 2019; Tribunale di Firenze, sezione specializzata per l’immigrazione, la protezione internazionale e la libera circolazione dei cittadini UE, ordinanza 27 maggio 2019; Tribunale di Lecce, sezione prima civile, ordinanza 4 luglio 2019; Tribunale di Parma, sezione prima civile, ordinanza 2 agosto 2019; Tribunale di Bologna, sezione specializzata per l’immigrazione, la protezione internazionale e la libera circolazione dei cittadini UE, ordinanza 23 settembre 2019; Tribunale di Firenze, sezione quarta civile, ordinanza 22 novembre 2019; Tribunale di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione civile, ordinanza 25 novembre 2019.

[2] Circolare del Ministero dell’Interno del 18 ottobre 2018, recante «D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 (G.U. n. 231 del 4/10/2018). Art. 13 (Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica)» e la circolare del 18 dicembre 2018 (Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132), nella quale si legge: «[d]i conseguenza, ai richiedenti asilo – che, peraltro, non saranno più iscritti all’anagrafe dei residenti (articolo 13) – vengono dedicate le strutture di prima accoglienza (CARA e CAS), all’interno delle quali permangono, come nel passato, fino alla definizione del loro status».

[3] In questi termini sentenza n. 249 del 2010; analogamente, tra le tante, sentenze n. 166 del 2018, n. 230, n. 119 e n. 22 del 2015, n. 309, n. 202, n. 172, n. 40 e n. 2 del 2013, n. 172 del 2012, n. 245 e n. 61 del 2011, n. 187 del 2010, n. 306 e n. 148 del 2008, n. 324 del 2006, n. 432 del 2005, n. 252 e n. 105 del 2001, n. 203 del 1997, n. 62 del 1994, n. 54 del 1979, n. 244 e n. 177 del 1974, n. 144 del 1970, n. 104 del 1969, n. 120 del 1967

Tutti i diritti del presente articolo sono riservati. Fonte: Altalex