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    La sospensione condizionale della pena

    14.01.2022

    La sospensione condizionale della pena

    martelletto giudiceL’istituto della sospensione condizionale della pena si ispira, nella configurazione accolta dal nostro ordinamento penale, al modello belga del c.d. sursis che, fin dall’origine, orientava il meccanismo sospensivo non tanto alla realizzazione di forme “assistite” di esecuzione penale di contenuto risocializzante, secondo lo schema anglosassone della c.d. probation, quanto piuttosto ad un risultato special-preventivo, fondato da un lato, sulla minaccia della futura esecuzione della pena in caso di nuove violazioni della legge penale entro un tempo determinato; e, dall’altro lato, sulla esigenza di evitare che la stessa sanzione penale potesse produrre, per un dannoso fenomeno di eterogenesi dei fini, effetti ulteriormente de socializzanti e finanche antigiuridici, come nel caso del c.d. contagio criminale conseguente all’esecuzione di una pena detentiva breve, con conseguente vanificazione del fine precipuo della pena (Cass. Sez. Terza 28690/2017).

    L’art. 163 del Codice Penale ha così recepito tale modello disponendo che – nel pronunciare sentenza di condanna alla reclusione o all’arresto per un tempo non superiore a due anni, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell’articolo 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni – il giudice può ordinare che l’esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di cinque anni se la condanna è per delitto e di due anni se la condanna è per contravvenzione.

    Il successivo articolo 164 limita il beneficio della sospensione in parola ad una volta, ma prevede che il giudice, nel comminare una nuova condanna, può disporre una nuova sospensione qualora la pena da infliggere, cumulata con quella recedente, non superi i limiti indicati nell’art. 163.

    Il Giudice della Nomofilachia si è occupato ripetutamente dell’applicazione d’ufficio del beneficio della sospensione condizionale della pena, pervenendo a due distinti indirizzi interpretativi.

    Secondo una prima opinione, qualora il giudice ritenga, nell’esercizio discrezionale dei suoi poteri officiosi riconosciutigli dall’art. 163 c.p., di disporre la sospensione condizionale della pena pecuniaria, egli ha dovere di motivare l’utilità che discende dalla funzione rieducativa insita nel beneficio in questione rispetto al contrario interesse dell’imputato a non giovarsene in relazione alla compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena che può derivarne (Cass. Sez. 3, n. 26762 del 5/05/2010; Cass. Sez. 1, n. 357 del 11/12/1998).

    Le Sezioni Unite della Corte (Sez. Un., n. 6563 del 16/03/1994) ebbero a statuire che il pregiudizio addotto dall’interessato, tuttavia, in tanto è rilevante in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico, ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili in quanto correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella “individualizzazione” della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato. Deve escludersi che possa assumere rilevanza giuridica la mera opportunità di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi, perché valutazione di opportunità del tutto soggettiva e per giunta eventuale, e comunque in contraddizione con la prognosi di non reiterazione criminale, e quindi di ravvedimento, imposta dall’art. 164 c.p., comma 1, per la concessione del beneficio medesimo (in termini v. Cass. Sez. 3, n. 39406 del 20/06/2013).

    Un secondo indirizzo interpretativo, partendo dalle premesse ora ricordate, ha ritenuto inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza di condanna a pena dell’ammenda condizionalmente sospesa ex officio (Cass. Sez. 3, n. 22477 del 4/11/2014; Cass. Sez. 4, n. 18072 del 12/02/2015; Cass. Sez. 4, n. 15680 del 2/12/2014; Cass. Sez. 4, n. 51754 del 18/11/2014; Cass. Sez. 3, n. 21753 del 25/02/2014).

    La Sezione Terza della Corte di Cassazione, con la citata sentenza n. 28690 del 09.02.2017 condivide l’approdo interpretativo del primo indirizzo giurisprudenziale, seppur con diversa motivazione. Il giudice deve valutare, caso per caso, in relazione a condotte di rilevanza penale aventi un contenuto di disvalore ed espressive di una modesta capacità a delinquere, se possa ritenersi sufficiente, sul piano specialpreventivo, la semplice minaccia della sanzione e se essa non sia comunque da preferirsi in rapporto agli effetti desocializzanti che potrebbero conseguire alla sua effettiva esecuzione.

    In questa prospettiva la Corte ha affermato che il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale riconosciutogli dall’art. 163 c.p. e, nel giudizio di appello, dall’art. 597 c.p.p., comma 5, può pacificamente disporre d’ufficio la sospensione condizionale della pena ma una siffatta pronuncia esige (ex multis  Sez. 1, n. 26633 del 10/06/2008; Cass. Sez. 1, n. 45484 del 11/11/2004; Cass Sez. 1, n. 357 del 11/12/1998), che venga data in concreto dimostrazione di una siffatta utilità.

    In questo quadro la Corte ha anche affermato che al contrario interesse dell’imputato a non giovarsene l’ordinamento riconosce, pacificamente, giuridica rilevanza, considerato che la misura è, secondo una consolidata prassi applicativa, certamente rinunciabile (v. Csss. Sez. 3, n. 11104 del 30/01/2014; Cass. Sez. 6, n. 21219 del 24/04/2013).

    Per concludere sul punto, laddove giudice di prime cure non fornisca alcuna dimostrazione di una siffatta utilità, in particolare in relazione ad una modesta ammenda irrogata, il provvedimento giudiziale può essere oggetto di impugnazione concernente la concessione della sospensione condizionale della pena.

    Venendo ora all’applicazione d’ufficio della sospensione condizionale nei casi di condanna per decreto (quindi laddove di applichi solamente una pena pecuniaria), viene ancor più in evidenza l’interesse dell’imputato-condannato ad impugnare la concessione del beneficio laddove manchi nel provvedimento una motivazione di utilità, anche alla luce del fatto che nei casi di procedimento per decreto l’imputato non ha la possibilità di esprimere una rinunzia alla misura della concessione del beneficio della sospensione.

    E non può neppure limitarsi ad opporre il decreto penale di condanna limitatamente alla concessa sospensione condizionale, in quanto l’opposizione travolge il decreto penale che dev’essere revocato dal giudice dell’opposizione il quale procede poi all’apertura del dibattimento.

    Peraltro, una volta emesso il decreto penale di condanna, il condannato può chiedere la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, nei casi previsti dalla legge, senza la necessaria presentazione dell’atto di opposizione ma sempre entro il termine di 15 giorni dalla notifica del decreto. In tal caso il G.I.P. può operare la sostituzione della pena stabilita nel decreto con il lavoro di pubblica utilità, ovvero, in difetto dei presupposti, può rigettare la richiesta, dichiarando esecutivo il decreto penale in difetto di tempestiva opposizione (Cass Sez V, 13.01.2021 n. 6879).

    Potrebbe il condannato altresì chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova (art. 168 bis- 464 bis cpp).

    Oppure il condannato per decreto può optare per l’applicazione della pena su richiesta (cd. Patteggiamento), ma in tal caso non trova più applicazione l’art. 459 del codice di procedura penale (valore giornaliero minimo di euro 75 e massimo 225 per ogni giorno di pena) bensì l’art. 135 del codice penale (euro 250 per ogni giorno di pena detentiva).

    Considerato che nella prassi, in casi di incensuratezza con il decreto penale di condanna viene applicato il minimo di 75 euro, ben si comprende l’aggravamento economico nel caso in cui si chieda un patteggiamento con pena non sospesa.

    Alla luce di quanto precede è da preferire che il Giudice per le indagini preliminari valuti e ponderi caso per caso la concessione della misura in parola, non limitandosi, come nella pratica avviene, ad accogliere o respingere la richiesta del P.M.

    E ciò tanto più vale nei casi, ad esempio, di decreti penali di condanna per reati di lesioni personali connesse alla violazione di norme sulla sicurezza del lavoro in quanto la concessione, anziché essere il risultato di una valutazione del disvalore della condotta e della capacità a delinquere, può esporre il datore di lavoro, nel quinquennio (trattandosi di delitto) successivo, al rischio della perdita futura della possibilità del beneficio, senza che al datore stesso possa imputarsi una reprimenda condotta o una alta capacità a delinquere.

    Sarebbe altresì auspicabile che la Procura della Repubblica titolare delle indagini non chiedesse al Giudice l’emissione di decreto penale con la concessione della sospensione condizionale senza aver valutato a monte le implicazioni negative sull’imputato nei confronti del quale la sospensione di una pena pecuniaria di modesta entità potrebbe non conseguire le finalità di ravvedimento che la misura persegue.

    Il tutto con beneficio anche delle casse erariali.

    Il tutto condurrebbe, forse, ad una maggiore consapevolezza della concretezza della pena da parte dei più, che probabilmente ai più manca.

    E forse anche l’aspetto rieducativo della pena conseguirebbe maggiori risultati. Ma non è questa la sede per affrontare un tema che è da ritenere fondamentale nell’espiazione di qualsiasi pena.

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    Tutti i diritti del presente articolo sono riservati. Fonte: Altalex

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